Tras de un amoroso lance (Dopo un amoroso slancio) | |
Tras de un amoroso lance y no de esperanza falto volé tan alto, tan alto que le di a la caza alcance. | Dopo un amoroso slancio e non privo di speranza volai così alto, così alto, che raggiunsi la mia preda. |
1. Para que yo alcance diese a aqueste lance divino, tanto volar me convino que de vista me perdiese; y, con todo, en este trance en el vuelo quedé falto; mas el amor fué tan alto, que le di a la caza alcance. | 1. Per poter raggiungere questo slancio divino, tanto volar mi fu utile a perdermi di vista; malgrado ciò, in questo punto, del volo mi trovai privo; ma l'amore fu così grande, che raggiunsi la mia preda. |
2. Cuando más alto subía deslumbróseme la vista, y la más fuerte conquista en oscuro se hacía; mas, por ser de amor el lance, di un ciego y oscuro salto, y fui tan alto, tan alto, que le di a la caza alcance. | 2. Più alto salivo, più la vista si abbagliava, e la più aspra conquista avvenne nelle tenebre; ma d'amore era lo slancio, e con un cieco e oscuro salto mi trovai in alto, così in alto che raggiunsi la mia preda. |
3. Cuanto más alto llegaba de este lance tan subido, tanto más bajo y rendido y abatido me hallaba; dije: No habrá quien alcance; y abatíme tanto, tanto, que fui tan alto, tan alto, que le di a la caza alcance. | 3. Quanto più alto giungevo in questo slancio sublime, tanto più basso, arreso e umiliato mi trovavo. Dissi: non vi sarà chi l'arrivi, e mi umiliai tanto tanto che mi trovai così alto che raggiunsi la mia preda. |
4. Por una extraña manera mil vuelos pasé de un vuelo, porque esperanza de cielo tanto alcanza cuanto espera; esperé sólo este lance, y en esperar no fui falto, pues fui tan alto, tan alto, que le di a la caza alcance. | 4. In una strana maniera mille voli divennero uno, perché la speranza del cielo tanto ottiene quanto spera; attesi solo questo lancio, e nello sperare non sbagliai, che mi trovai così alto che raggiunsi la mia preda. (San Giovanni della Croce) |
giovedì 17 novembre 2011
L'esperienza.
martedì 15 novembre 2011
Krishnamurti
Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio punto di vista, e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la Verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero. Se lo comprendete, vedrete che è impossibile organizzare una "fede". La fede è qualcosa di assolutamente individuale, e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una religione che viene imposta ad altri.
lunedì 14 novembre 2011
Ermete Trismegisto
"La conoscenza universale può essere rivelata solo ai nostri fratelli che hanno affrontato le nostre stesse prove. La verità va dosata a misura dell’intelletto, dissimulata ai deboli, che renderebbe pazzi, nascosta ai malvagi, che solo potrebbero afferrarne qualche frammento di cui farebbero arma letale. Racchiudila nel tuo cuore, e che essa parli attraverso le tue opere. La scienza sarà la tua forza; la fede la tua spada; e il silenzio la tua corazza impenetrabile."
sabato 5 novembre 2011
Trismegisto
«Ora taci, figlio mio - dice Ermete al figlio Tat -, e osserva un religioso silenzio; grazie a questo, la misericordia non smetterà di scendere su di noi»Senza segreto, il discorso ermetico perde il proprio valore profondo. Asclepio invita il re Ammone a fare in modo che la rivelazione non giunga ai Greci, che hanno un eloquio «tracotante, fiacco e, per così dire, imbellettato», il quale sbiadisce la sacra nobiltà, il vigore e l'energia dello stile egiziano. Così, tra rivelazione ed estasi, trascorrono i grandi testi ermetici, come il Poimandres e l'Asclepio: con un potente slancio lirico, che si rapprende in sentenze da affidare alla memoria, con una specie di ebrietà lucida, che deve rendere il soffio divino che senza posa percorre l'universo.
«Immaginare dio è difficile - dice Ermete a Tat -: esprimerlo, quand'anche si riesca ad immaginarlo, impossibile»
Verso questo Uno, o Sopra-Uno, il dio, gli dèi e gli uomini conoscono una profonda trance ed estasi. Mentre i sensi sono intorpiditi, come accade a chi piomba in un sonno pesante, l'intelletto si leva in alto; e vede ed ascolta, perché la rivelazione è sia visiva sia acustica. La luce è senza limiti, serena e gioiosa: non è l'improvviso e violento raggio di sole che abbaglia e fa chiudere gli occhi; il fedele riesce ad accogliere la visione nitida, lucida, non accecante, o che attraversa la cecità, per salire sopra di essa. «Quando non avrai più nulla da dire sul bene - dice Ermete -, allora soltanto lo vedrai». Mentre dio tiene a lungo lo sguardo sul fedele, un tremore o uno smarrimento si impadroniscono di lui. Il dio gli dice: «Hai visto la forma archetipica, il Principio anteriore del Principio infinito». Allora il fedele prova un meraviglioso slancio e desiderio di conoscenza, e un egualmente meraviglioso compimento di questo desiderio. A nome di tutti i fedeli, Ermete dice: «Provai una gioia senza confini. Il sonno del corpo era divenuto attenta lucidità dell'anima, e stare con gli occhi chiusi era diventato un vero e proprio vedere; il mio silenzio si fece pregno di bene»
Così dio, l'Uno, è il Tutto. È tutte le cose: ha in sé tutti gli esseri; e nulla esiste al di fuori di lui, nulla in cui egli non sia: egli è persino le cose che non esistono, le ombre, le illusioni, le evanescenze.
Infine, l'uomo si ricongiunge con dio, e diventa dio. Va più in alto di ogni sommità e scende più in basso di ogni profondità: raccoglie in sé tutte le sensazioni delle cose create, del fuoco, dell'acqua, del secco, dell'umido, e pensa di essere nello stesso tempo in terra, in mare, in cielo, non ancora nato, nel ventre materno, giovane, anziano, già morto, oltre la morte. Mentre risale lungo il percorso del cosmo, dovunque dio gli viene incontro, e dovunque lo vede: dove e quando non se lo aspetta, quando è desto, quando dorme, quando naviga, quando cammina, di notte, di giorno, quando parla, quando tace. Dio si specchia in lui, e lui si specchia in dio. La sua ascesa è la fine del dolore: è la conoscenza della gioia, la temperanza, la giustizia, la verità, il bene. Questo slancio in alto non lo porta verso il futuro: ma è un balzo all'indietro, verso le cose originarie e antiche. Alla fine non c'è altro che l'Uno.
http://www.corriere.it/cultura/libri/11_ottobre_26/citati-ermetismo_c005745c-ffd7-11e0-9c44-5417ae399559.shtml
«Immaginare dio è difficile - dice Ermete a Tat -: esprimerlo, quand'anche si riesca ad immaginarlo, impossibile»
Verso questo Uno, o Sopra-Uno, il dio, gli dèi e gli uomini conoscono una profonda trance ed estasi. Mentre i sensi sono intorpiditi, come accade a chi piomba in un sonno pesante, l'intelletto si leva in alto; e vede ed ascolta, perché la rivelazione è sia visiva sia acustica. La luce è senza limiti, serena e gioiosa: non è l'improvviso e violento raggio di sole che abbaglia e fa chiudere gli occhi; il fedele riesce ad accogliere la visione nitida, lucida, non accecante, o che attraversa la cecità, per salire sopra di essa. «Quando non avrai più nulla da dire sul bene - dice Ermete -, allora soltanto lo vedrai». Mentre dio tiene a lungo lo sguardo sul fedele, un tremore o uno smarrimento si impadroniscono di lui. Il dio gli dice: «Hai visto la forma archetipica, il Principio anteriore del Principio infinito». Allora il fedele prova un meraviglioso slancio e desiderio di conoscenza, e un egualmente meraviglioso compimento di questo desiderio. A nome di tutti i fedeli, Ermete dice: «Provai una gioia senza confini. Il sonno del corpo era divenuto attenta lucidità dell'anima, e stare con gli occhi chiusi era diventato un vero e proprio vedere; il mio silenzio si fece pregno di bene»
Così dio, l'Uno, è il Tutto. È tutte le cose: ha in sé tutti gli esseri; e nulla esiste al di fuori di lui, nulla in cui egli non sia: egli è persino le cose che non esistono, le ombre, le illusioni, le evanescenze.
Infine, l'uomo si ricongiunge con dio, e diventa dio. Va più in alto di ogni sommità e scende più in basso di ogni profondità: raccoglie in sé tutte le sensazioni delle cose create, del fuoco, dell'acqua, del secco, dell'umido, e pensa di essere nello stesso tempo in terra, in mare, in cielo, non ancora nato, nel ventre materno, giovane, anziano, già morto, oltre la morte. Mentre risale lungo il percorso del cosmo, dovunque dio gli viene incontro, e dovunque lo vede: dove e quando non se lo aspetta, quando è desto, quando dorme, quando naviga, quando cammina, di notte, di giorno, quando parla, quando tace. Dio si specchia in lui, e lui si specchia in dio. La sua ascesa è la fine del dolore: è la conoscenza della gioia, la temperanza, la giustizia, la verità, il bene. Questo slancio in alto non lo porta verso il futuro: ma è un balzo all'indietro, verso le cose originarie e antiche. Alla fine non c'è altro che l'Uno.
http://www.corriere.it/cultura/libri/11_ottobre_26/citati-ermetismo_c005745c-ffd7-11e0-9c44-5417ae399559.shtml
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