mercoledì 28 dicembre 2011

Chang Po-tuan : Trattato dei quattrocento caratteri sull'elisir d'oro


        

         

Devi sapere dov'è l'apertura corporea nota come il Passo Misterioso Non si trova nel cuore, né nei reni, né nella bocca, né nel naso, né nel basso addome, né tra le sopracciglia.
Se trovi questa apertura, trovi il momento del silenzio assoluto che precede il ritorno dell'energia positiva.
Questa apertura non ha né margini né lati, non ha né un dentro né un fuori. E' la radice dell'energia spirituale, la valle del nulla.
L'alchimia produce qualcosa dal nulla, sviluppa l'infante spirituale. Non bisogna farsi fuorviare dai simboli e dalle parole. Ora quando si dice che l'elisir alchemico viene prodotto dal nulla, non bisogna pensare che questo nulla sia il vuoto assoluto. Devi sapere che questo vuoto, che questo nulla, è la fonte di tutte le cose.

domenica 25 dicembre 2011

Enneadi di Plotino

Spesso risvegliandomi dal corpo a me stesso e divenuto estraneo a tutto il resto, interno soltanto a me stesso, ho visto una bellezza straordinariamente grande, e allora ho creduto di appartenere sopratutto alla parte migliore, ho sperimentato la vita migliore e sono divenuto una cosa sola col divino e collocatomi saldamente in esso sono pervenuto a quell'attività superiore che mi ha posto al di sopra di ogni altro intelligibile.

sabato 17 dicembre 2011

Huai nan tzu

Quando lo spirito controlla il corpo, il corpo obbedisce; quando il corpo prevale sullo spirito, lo spirito si abbatte. Benché l'intelligenza  sia utile, è necessario che sia subordinata allo spirito. Questa è la grande armonia.

venerdì 16 dicembre 2011

Le vie sono diverse, la meta è unica.

"LE VIE SONO DIVERSE, LA META E' UNICA. NON SAI CHE MOLTE VIE CONDUCONO A UNA SOLA META? LA META NON APPARTIENE NE' ALLA MISCREDENZA NE' ALLA FEDE; LI' NON SUSSISTE CONTRADDIZIONE ALCUNA. QUANDO LA GENTE VI GIUNGE LE DISPUTE E LE CONTROVERSIE CHE SORSERO DURANTE IL CAMMINO SI APPIANANO; E CHI SI DICEVA L'UN L'ALTRO DURANTE LA STRADA "TU SEI UN EMPIO" DIMENTICA ALLORA IL LITIGIO, POICHE' LA META E' UNICA".

domenica 4 dicembre 2011

TAO TE CHING L'opera di Lao-tzu

I
A Il principio che può essere enunciato non è quello che fu da sempre. L'essere che può essere nominato non è quello che fu da ogni tempo. Innanzi che i tempi fossero, fu un essere ineffabile, non esprimibile.
B Ancora non nominabile, esso concepì il cielo e la terra. Divenuto con ciò nomina-bile, [esso] fece nascere tutti gli esseri.
C I due atti sono uno solo, sotto due denominazioni differenti. L'atto generatore unico è il mistero dell'origine. Mistero dei misteri. Porta attraverso la quale sono emerse sulla scena dell'universo [manifestato] tutte le meraviglie che lo popolano.
D La conoscenza che l'uomo ha del Principio universale dipende dallo stato del suo spirito. Lo spirito costantemente libero dalle passioni conosce l'essenza misteriosa del Principio. Lo spirito costantemente preda delle passioni non conoscerà se non i suoi ef-fetti.


Sintesi dei commentari
Innanzi i tempi, e a partire da ogni tempo, [vi] fu un essere esistente di per se stesso, eterno, infinito, completo e onnipresente. Impossibile è il nominarlo, il parlarne; perché i termini umani si applicano soltanto agli esseri sensibili. Ora, l'essere primordiale fu in principio, e ancora è essenzialmente, non sensibile [nel senso di «non percepibile dai sensi», non afferrabile da facoltà individuali]. Fuori di quest'essere, avanti l'origine, non ci fu nulla. Esso è chiamato u, «nulla di forma», huan, «mistero», ovvero tao, «princi-pio». È detto sien-t'ien, «avanti il cielo», lo stato in cui non c'era ancora nessun essere sensibile; in cui, sola, esisteva l'essenza del principio. Tale essenza aveva due proprietà immanenti, lo yin, concentrazione, e lo yang, espansione, le quali furono un giorno [espressione da intendersi simbolicamente], rese esteriori nelle forme sensibili di cielo (yang) e terra (yin). Questo «giorno» fu l'inizio dei tempi. Da questo giorno il Principio poté essere nominato con il termine duplice di «cielo-terra». Il binomio cielo-terra emise tutti gli esseri sensibili esistenti. Sono detti yu, «essere sensibile», tale binomio (il quale è produttivo per mezzo di te, la «virtù» del Principio) e tutti i suoi prodotti, che popolano il mondo.
Si chiamano heù-t'ien, [ciò che viene] «dopo il cielo», i tempi posteriori all'esterio-rizzazione del [binomio] cielo-terra. Lo stato yin, di concentrazione e riposo, di non per-cettibilità, il quale fu quello del Principio avanti il tempo, è il suo stato proprio. Lo stato yang, di espansione e di attività, di manifestazione negli esseri sensibili, è il suo stato nel tempo, in qualche modo improprio [caratterizzato, cioè, da un aspetto di illusorietà]. A questi due stati del Principio corrispondono, nella facoltà di conoscere dell'uomo, il ri-poso e l'attività, in altre parole il vuoto e il pieno. Quando lo spirito umano produce idee, è affollato di immagini, è agitato da passioni, esso non è allora predisposto che a cono-scere gli effetti del Principio, [ossia] gli esseri sensibili distinti [individualizzati]. Quando lo spirito umano, totalmente stabile [concentrato in se stesso], è completamente vuoto e calmo, esso è uno specchio puro e nitido, in grado di riflettere l'essenza ineffabile e ine-sprimibile dello stesso Principio. —

giovedì 17 novembre 2011

L'esperienza.

Tras de un amoroso lance (Dopo un amoroso slancio)
Tras de un amoroso lance
y no de esperanza falto
volé tan alto, tan alto
que le di a la caza alcance.
Dopo un amoroso slancio
e non privo di speranza
volai così alto, così alto,
che raggiunsi la mia preda.
1. Para que yo alcance diese
a aqueste lance divino,
tanto volar me convino
que de vista me perdiese;
y, con todo, en este trance
en el vuelo quedé falto;
mas el amor fué tan alto,
que le di a la caza alcance.
1. Per poter raggiungere
questo slancio divino,
tanto volar mi fu utile
a perdermi di vista;
malgrado ciò, in questo punto,
del volo mi trovai privo;
ma l'amore fu così grande,
che raggiunsi la mia preda.
2. Cuando más alto subía
deslumbróseme la vista,
y la más fuerte conquista
en oscuro se hacía;
mas, por ser de amor el lance,
di un ciego y oscuro salto,
y fui tan alto, tan alto,
que le di a la caza alcance.
2. Più alto salivo, più
la vista si abbagliava,
e la più aspra conquista
avvenne nelle tenebre;
ma d'amore era lo slancio, e
con un cieco e oscuro salto
mi trovai in alto, così in alto
che raggiunsi la mia preda.
3. Cuanto más alto llegaba
de este lance tan subido,
tanto más bajo y rendido
y abatido me hallaba;
dije: No habrá quien alcance;
y abatíme tanto, tanto,
que fui tan alto, tan alto,
que le di a la caza alcance.
3. Quanto più alto giungevo
in questo slancio sublime,
tanto più basso, arreso
e umiliato mi trovavo.
Dissi: non vi sarà chi l'arrivi,
e mi umiliai tanto tanto
che mi trovai così alto
che raggiunsi la mia preda.
4. Por una extraña manera
mil vuelos pasé de un vuelo,
porque esperanza de cielo
tanto alcanza cuanto espera;
esperé sólo este lance,
y en esperar no fui falto,
pues fui tan alto, tan alto,
que le di a la caza alcance.
4. In una strana maniera
mille voli divennero uno,
perché la speranza del cielo
tanto ottiene quanto spera;
attesi solo questo lancio,
e nello sperare non sbagliai,
che mi trovai così alto
che raggiunsi la mia preda.

(San Giovanni della Croce)

martedì 15 novembre 2011

Krishnamurti

Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio punto di vista, e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la Verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero. Se lo comprendete, vedrete che è impossibile organizzare una "fede". La fede è qualcosa di assolutamente individuale, e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una religione che viene imposta ad altri. 

lunedì 14 novembre 2011

Ermete Trismegisto

"La conoscenza universale può essere rivelata solo ai nostri fratelli che hanno affrontato le nostre stesse prove. La verità va dosata a misura dell’intelletto, dissimulata ai deboli, che renderebbe pazzi, nascosta ai malvagi, che solo potrebbero afferrarne qualche frammento di cui farebbero arma letale. Racchiudila nel tuo cuore, e che essa parli attraverso le tue opere. La scienza sarà la tua forza; la fede la tua spada; e il silenzio la tua corazza impenetrabile."

sabato 5 novembre 2011

Trismegisto

 «Ora taci, figlio mio - dice Ermete al figlio Tat -, e osserva un religioso silenzio; grazie a questo, la misericordia non smetterà di scendere su di noi»Senza segreto, il discorso ermetico perde il proprio valore profondo. Asclepio invita il re Ammone a fare in modo che la rivelazione non giunga ai Greci, che hanno un eloquio «tracotante, fiacco e, per così dire, imbellettato», il quale sbiadisce la sacra nobiltà, il vigore e l'energia dello stile egiziano. Così, tra rivelazione ed estasi, trascorrono i grandi testi ermetici, come il Poimandres e l'Asclepio: con un potente slancio lirico, che si rapprende in sentenze da affidare alla memoria, con una specie di ebrietà lucida, che deve rendere il soffio divino che senza posa percorre l'universo.
«Immaginare dio è difficile - dice Ermete a Tat -: esprimerlo, quand'anche si riesca ad immaginarlo, impossibile»
Verso questo Uno, o Sopra-Uno, il dio, gli dèi e gli uomini conoscono una profonda trance ed estasi. Mentre i sensi sono intorpiditi, come accade a chi piomba in un sonno pesante, l'intelletto si leva in alto; e vede ed ascolta, perché la rivelazione è sia visiva sia acustica. La luce è senza limiti, serena e gioiosa: non è l'improvviso e violento raggio di sole che abbaglia e fa chiudere gli occhi; il fedele riesce ad accogliere la visione nitida, lucida, non accecante, o che attraversa la cecità, per salire sopra di essa. «Quando non avrai più nulla da dire sul bene - dice Ermete -, allora soltanto lo vedrai». Mentre dio tiene a lungo lo sguardo sul fedele, un tremore o uno smarrimento si impadroniscono di lui. Il dio gli dice: «Hai visto la forma archetipica, il Principio anteriore del Principio infinito». Allora il fedele prova un meraviglioso slancio e desiderio di conoscenza, e un egualmente meraviglioso compimento di questo desiderio. A nome di tutti i fedeli, Ermete dice: «Provai una gioia senza confini. Il sonno del corpo era divenuto attenta lucidità dell'anima, e stare con gli occhi chiusi era diventato un vero e proprio vedere; il mio silenzio si fece pregno di bene»
Così dio, l'Uno, è il Tutto. È tutte le cose: ha in sé tutti gli esseri; e nulla esiste al di fuori di lui, nulla in cui egli non sia: egli è persino le cose che non esistono, le ombre, le illusioni, le evanescenze. 
Infine, l'uomo si ricongiunge con dio, e diventa dio. Va più in alto di ogni sommità e scende più in basso di ogni profondità: raccoglie in sé tutte le sensazioni delle cose create, del fuoco, dell'acqua, del secco, dell'umido, e pensa di essere nello stesso tempo in terra, in mare, in cielo, non ancora nato, nel ventre materno, giovane, anziano, già morto, oltre la morte. Mentre risale lungo il percorso del cosmo, dovunque dio gli viene incontro, e dovunque lo vede: dove e quando non se lo aspetta, quando è desto, quando dorme, quando naviga, quando cammina, di notte, di giorno, quando parla, quando tace. Dio si specchia in lui, e lui si specchia in dio. La sua ascesa è la fine del dolore: è la conoscenza della gioia, la temperanza, la giustizia, la verità, il bene. Questo slancio in alto non lo porta verso il futuro: ma è un balzo all'indietro, verso le cose originarie e antiche. Alla fine non c'è altro che l'Uno.


http://www.corriere.it/cultura/libri/11_ottobre_26/citati-ermetismo_c005745c-ffd7-11e0-9c44-5417ae399559.shtml

domenica 23 ottobre 2011

Per questi tempi moderni

Dedicato a questi tempi moderni dove il vecchio uccide il nuovo per impedirne la crescita ed evitare che prenda il suo posto.

domenica 9 ottobre 2011

Eudaimonia


Felicità/eudaimonia

La parola greca eudaimonia, correntemente tradotta con "felicità", indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale dell'individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Nell'etimologia della parola è implicita l'idea che un buon daimon, abbia presieduto all'assegnazione del mio destino, in una sfera più ampia delle sensazioni personali: la mia sorte ha a che vedere con la mia collocazione nel mondo, e non solo con il mio umore, o con i divertimenti della vita privata. Per questo, come spiega Solone a Creso nel racconto tramandato da Erodoto (I, 21-45), non si può dire di nessuno che sia felice, se non dopo che ha concluso felicemente la sua vita.

Nell'etica antica, l'eudaimonia è il bene supremo, quello che vale la pena perseguire per se stesso: ma il benessere in essa implicito è, in sostanza, un buon rapporto con il mondo. Una felicità esclusivamente privata sarebbe stata percepita come una sorta di felicità degli idioti. Quando Socrate afferma che chi subisce ingiustizia è meno infelice di chi la commette, sta dicendo che la persona ingiusta, rispetto alla sua vittima innocente, ha un rapporto con il mondo assai peggiore.

Nel mondo moderno, quando si parla di felicità, si intende per lo più la semplice soddisfazione individuale: nella nostra prospettiva, ragionare come Polo non sarebbe scandaloso, perché la nostra "felicità" non dipende in primo luogo dalla nostra "distribuzione" nel mondo, ma dal modo in cui ci sentiamo. Kant, per esempio, tratta la felicità come come un'idea i cui contenuti sono empirici e soggettivi: per questo motivo, non si può assumere la felicità come punto di partenza per stabilire quale sia la corretta assegnazione e collocazione degli individui nel mondo; occorre invece trovare una legge morale razionale che possa valere per tutti gli esseri liberi, a prescindere dalle loro sensazioni e opinioni sul piacere. Il problema della felicità, nel senso moderno di soddisfazione personale, si potrà porre solo una volta risolto il problema della corretta collocazione dei soggetti morali nel mondo. Per questo Kant distingue l'uomo virtuoso, cioè colui che fa il suo dovere e si rende degno di felicità, dall'uomo per il quale si realizza il sommo bene, ossia la persona virtuosa che ottiene tutta la felicità che merita. La mia corretta collocazione nel mondo non comporta necessariamente la mia soddisfazione personale: io potrei anche fare il mio dovere senza ricavare la soddisfazione che merito.

Di Maria Chiara Pievatolo

martedì 19 luglio 2011

Meister Eckhart tra divinità e Tao.

Pensieri di Meister Eckhart

 Il tempio in cui Dio vuole regnare da signore secondo la sua volontà è l’anima umana, che egli ha fatto perfettamente simile a sé. Perciò Dio vuole che questo tempio sia vuoto, perché all’interno non vi sia che lui solo.
 Dio è un permanere nella purezza della propria essenza, NELLA QUALE NON VI SONO ATTRIBUTI. Deve andarsene tutto ciò che è contingente. Egli è un puro dimorare in se stesso, dove non c’è il questo e il quello: infatti quel che è in Dio è Dio.
 Tutte le creature sono un puro nulla. Non dico che valgono poco o che siano qualcosa: sono un puro nulla. Quel che non ha essere, è nulla. Le creature non hanno essere, perché il loro essere dipende dalla presenza di Dio: se Dio si allontanasse un istante, le creature sarebbero annientate.
Chi pensa di ricevere Dio nella interiorità, nella devozione, in un dolce rapimento o in una grazia particolare più che presso il focolare o nella stalla, non fa altro che prendere Dio, avvolgergli un mantello intorno al capo e cacciarlo sotto una panca. Perché chi cerca Dio secondo un modo, prende il modo e perde Dio, che nel modo è nascosto. Ma chi cerca Dio senza modo, lo prende come è in se stesso; vive nel Figlio ed è la vita stessa.
 Se si interrogasse per mille anni la vita, chiedendole perché vive, ed essa potesse rispondere, non direbbe altro che: ” Io vivo perché vivo” . Questo perché la vita vive dal suo fondo proprio, e fluisce dal suo essere proprio; perciò vive senza perché, poiché vive per se stessa.
Se si domandasse a un uomo vero, che opera dal suo fondo proprio, perché compie le sue opere, questi, per rispondere giustamente, non direbbe altro che: ” Io opero perché opero [quindi: senza farsene concetti, Nota mia ] ” .
 Rendono davvero onore a Dio e gli danno quel che gli spetta quelli che sono del tutto usciti da se stessi, che non cercano assolutamente niente di proprio in nessuna cosa, grande o piccola; quelli che non considerano niente, né al di sopra né al di sotto di loro, né accanto né in se stessi; che non fanno conto di bene od onore, di soddisfazione o di gioia, di utile o di interiorità, di santità o premio, e neppure di regno dei cieli.
 Alcuni maestri rozzi dicono che Dio è puro essere, ma egli è al di sopra dell’essere quanto il sommo angelo è al di sopra di un moscerino. Chiamare Dio essere è falso quanto dire che il sole pallido è nero.
 Fintanto che l’uomo ha tempo, spazio, numero, molteplicità [cioè concetti, nota mia] non è come deve essere e Dio gli è lontano ed estraneo. Perciò Nostro Signore dice: ” Chi vuole divenire mio discepolo, deve abbandonare se stessi (Lc 9, 23) .
 Alcuni guardano a Dio con gli stessi occhi con cui guardano a una vacca, e come una vacca lo amano. Si ama la vacca per il latte, per il formaggio, per l’utilità insomma. Lo stesso fanno coloro che amano Dio per la ricchezza esteriore o per la consolazione interiore: essi non amano davvero Dio, ma il proprio utile.
 Tutte le creature portano con sé la negazione: l’una nega di essere l’altra. DIO INVECE HA UNA NEGAZIONE DELLA NEGAZIONE: egli è Uno e nega ogni alterità, giacché niente è al di fuori di Dio.
 Dio è uno, è negazione della negazione.
 Se sei malato e preghi per la tua salute, essa ti è più cara di Dio. Allora egli non è il tuo Dio: è il Dio dei cieli e della terra, ma non è il tuo Dio .
 Dio e la Divinità sono distanti l’uno dall’altra come il cielo lo è dalla terra. Dico di più: l’uomo interiore e l’uomo esteriore sono separati l’uno dall’altro come il cielo dalla terra. Ma Dio infinitamente di più: Dio diviene e disviene .
Perché le creature parlano di Dio e non della Divinità? Perché quello che è nella Divinità è uno, e di ciò non si può parlare. DIO OPERA, LA DIVINITA’ NON OPERA; NON HA NULLA DA OPERARE, NON VI E’ IN ESSA OPERA ALCUNA, NE’ MAI HA AVUTO DI MIRA UN’OPERA. Dio e la Divinità sono separati dall’operare e dal non operare.
 Nostro Signore dice: ” A chi rinuncia a qualcosa per amore mio e per amore del mio nome, io restituirò il centuplo e la vita eterna” (Mt 19, 29) . Ma se rinunci a qualcosa per il centuplo o per la vita eterna, e anche per una ricompensa mille volte più grande, non ti sei distaccato da nulla…
 L’ UOMO DISTACCATO DA SE STESSO E’ COSI’ PURO CHE IL MONDO NON PUO’ SOPPORTARLO


Pensiero di Jean Campbell Cooper su Meister Eckhart
Al pari del taoismo, anche Eckhart sottolinea la trascendenza e l'immanenza insieme dell'Assoluto, che egli chiamava la Divinità per distinguerlo dal Dio trino del cristianesimo e che può essere paragonato al Tao, poiché l'Essere di Eckhart (wesen) è privo di personalità e di elementi caratterizzanti; si tratta dell'Ignoto, assolutamente trascendente, che, con un termine negativo, viene detto il Silenzio.

venerdì 17 giugno 2011

Verso l'ideale di Chuang-tzu

Sicuramente come molti altri prima di me mi sono posto la domanda di  ''cosa scrivere nel mio primo post del mio promo blog?'', non riuscendo a rispondere a questa domanda, mi sono chiesto cosa avrei voluto vedere trovandomi per caso in un blog sconosciuto e a questa domanda sono arrivato alla conclusione che sicuramente mi farebbe piacere leggere un pezzo del celebre libro taoista il Chuang-tzu, magari il primo capitolo quello che più apprezzo. 


Verso l'ideale Secondo antiche leggende, nell'oceano settentrionale vive un pesce immenso, il quale può assumere la forma di un uccello. Quando questo uccello si leva in volo, le sue ali si dispiegano nel cielo come nuvole. Radendo i flutti in direzione del Sud, esso prende l'abbrivio per una lunghezza di trenta miglia, poi sale con il vento a un'altezza di dieci-mila miglia nel tempo di sei mesi. Cosa si vede lassù nell'azzurro? Forse dei branchi di cavalli selvaggi che corrono? O sostanza polverulenta che volteggia? O sono i respiri che danno la vita agli esseri?... E l'azzurro è forse il cielo stesso? O non è piuttosto il colore del lontano infinito, nel quale si nasconde il Cielo, l'essere personale degli Annali e delle Odi?... E di là, si vede forse la terra? E che aspetto ha?... Misteri! Qualunque sia la rispo-sta che si può dare a queste domande, allontanandosi dal vasto oceano, e appoggiandosi alla grande massa dell'aria, unici sostegni capaci di fornire un appoggio alla sua immen-sità, il grande uccello veleggia a un'altezza prodigiosa.B Una cicala appena schiusa e un giovane piccioncello videro il grande uccello, ri-sero di lui e dissero: «A che pro andare così in alto? Perché correre di questi rischi? Noi ci accontentiamo di volteggiare di ramo in ramo, senza allontanarci dal paesaggio che ci è noto; quando cadiamo per terra non ci facciamo male; giorno per giorno, senza affati-carci, troviamo quel che ci è necessario. Perché andare tanto lontano? Perché salire così in alto? Non è forse vero che le preoccupazioni aumentano con la distanza percorsa e con l'altezza raggiunta?»Pensieri di due bestiole su un argomento che va al di là delle loro facoltà di com-prensione. Una piccola testolina non afferra ciò che abbraccia [invece] un intelletto [ben conformato]. Un'esperienza limitata non si estende a fatti lontani. Il fungo che non dura se non una mattina non ha l'idea della lunazione. L'insetto che vive una sola estate non s'in-tende della successione delle stagioni. Non si chiedano alle effimere, informazioni sulla gran testuggine che vive cinque secoli, sul grande albero il cui ciclo vitale è di ottomila anni. Neppure il vecchio P'eng-zù vi dirà qualcosa di ciò che va al di là degli otto secoli che gli attribuisce la tradizione. A ciascun essere, la sua formula propria di sviluppo.C Ci sono uomini [che sono] limitati quasi quanto le due bestiole di cui si parlava prima. Non comprendendo se non i fatti della vita ordinaria, costoro saranno capaci sol-tanto di essere i mandarini di un distretto, o, al massimo, i signori di un feudo.Maestro Giung di Song fu superiore a questo genere [di uomini], e più simile al grande uccello. Egli visse, indifferente e alla lode e alla critica. Seguendo il proprio giu-dizio, non si lasciò influenzare dall'opinione degli altri. Non fece mai distinzione tra la gloria e la disgrazia.Fu libero dai legami dei pregiudizi umani.Maestro Lieh-tzu di Ceng, fu superiore a Maestro Giung, e ancor più simile al grande uccello. Sulle ali della contemplazione, il suo spirito prendeva il volo, talvolta per quindici giorni, lasciando il suo corpo inerte e insensibile. Fu quasi completamente libero125dai legami terrestri. Tuttavia non del tutto, tenuto conto che doveva attendere l'ispirazione [intellettuale], un residuo di dipendenza.Adesso, pensiamo invece a un essere totalmente assorbito dall'immensa rotazione cosmica, e in grado di muoversi in essa, nell'infinito. Un simile essere non dipenderà più da nulla. Egli sarà perfettamente libero, nel senso che la sua persona e la sua attività sa-ranno unite alla persona e all'attività del gran Tutto. Per questo si dice, molto giusta-mente: «l'uomo superiore non ha più un io proprio; l'uomo trascendente non ha più un'a-zione propria; il Saggio non ha neanche più un nome proprio. Perché è uno con il Tutto»