domenica 23 ottobre 2011

Per questi tempi moderni

Dedicato a questi tempi moderni dove il vecchio uccide il nuovo per impedirne la crescita ed evitare che prenda il suo posto.

domenica 9 ottobre 2011

Eudaimonia


Felicità/eudaimonia

La parola greca eudaimonia, correntemente tradotta con "felicità", indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale dell'individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Nell'etimologia della parola è implicita l'idea che un buon daimon, abbia presieduto all'assegnazione del mio destino, in una sfera più ampia delle sensazioni personali: la mia sorte ha a che vedere con la mia collocazione nel mondo, e non solo con il mio umore, o con i divertimenti della vita privata. Per questo, come spiega Solone a Creso nel racconto tramandato da Erodoto (I, 21-45), non si può dire di nessuno che sia felice, se non dopo che ha concluso felicemente la sua vita.

Nell'etica antica, l'eudaimonia è il bene supremo, quello che vale la pena perseguire per se stesso: ma il benessere in essa implicito è, in sostanza, un buon rapporto con il mondo. Una felicità esclusivamente privata sarebbe stata percepita come una sorta di felicità degli idioti. Quando Socrate afferma che chi subisce ingiustizia è meno infelice di chi la commette, sta dicendo che la persona ingiusta, rispetto alla sua vittima innocente, ha un rapporto con il mondo assai peggiore.

Nel mondo moderno, quando si parla di felicità, si intende per lo più la semplice soddisfazione individuale: nella nostra prospettiva, ragionare come Polo non sarebbe scandaloso, perché la nostra "felicità" non dipende in primo luogo dalla nostra "distribuzione" nel mondo, ma dal modo in cui ci sentiamo. Kant, per esempio, tratta la felicità come come un'idea i cui contenuti sono empirici e soggettivi: per questo motivo, non si può assumere la felicità come punto di partenza per stabilire quale sia la corretta assegnazione e collocazione degli individui nel mondo; occorre invece trovare una legge morale razionale che possa valere per tutti gli esseri liberi, a prescindere dalle loro sensazioni e opinioni sul piacere. Il problema della felicità, nel senso moderno di soddisfazione personale, si potrà porre solo una volta risolto il problema della corretta collocazione dei soggetti morali nel mondo. Per questo Kant distingue l'uomo virtuoso, cioè colui che fa il suo dovere e si rende degno di felicità, dall'uomo per il quale si realizza il sommo bene, ossia la persona virtuosa che ottiene tutta la felicità che merita. La mia corretta collocazione nel mondo non comporta necessariamente la mia soddisfazione personale: io potrei anche fare il mio dovere senza ricavare la soddisfazione che merito.

Di Maria Chiara Pievatolo